Storia, cultura, enogastronomia e natura selvaggia: l’isola svedese nel mezzo del Mar Baltico rapisce il cuore del visitatore.
La nave taglia l’acqua, silenziosa e precisa come un paio di forbici guidate dalla mano sapiente di un sarto. Si affretta spavalda su questa distesa placida, lasciando dietro di sé schiuma e scompiglio solo all’apparenza indomabili.
A bordo, il vento fresco d’agosto spettina capelli e apre cappotti, mentre gli svedesi mangiano gamberetti con la maionese e si godono il panorama. Sono sul traghetto che da Nynäshamn, il porto a pochi chilometri da Stoccolma, mi sta portando all’Isola di Gotland: seconda isola più grande del Mar Baltico, viene chiamata “la Capri del Nord” per le sue spiagge bianche e la natura selvaggia che rapisce il cuore di chiunque decida di farle visita…
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Lirica, cibo leggendario e lo charme di una elegante signora sono gli ingredienti della Capitale della Cultura 2020
Parma è una donna elegante e d’altri tempi che si imbelletta una sera d’autunno per una prima al Teatro Regio, dove gli scalini e l’ingresso hanno il tappeto rosso delle grandi occasioni. Rosso come le sue labbra, mentre afferra al volo il soprabito e si affretta per non far tardi.
È la prima immagine che ho di questa città, Capitale della Cultura 2020, capace di autoalimentarsi perché ricca dal punto di vista culturale e gastronomico, ma con un occhio sempre attento al resto del mondo. In occasione di “Parma 2020” le associazioni culturali lavoreranno infatti a stretto contatto con le industrie per migliorarne qualità e vivibilità: i turisti avranno la possibilità di sperimentare più di trecento attività, anche in spazi cittadini inconsueti e magari sconosciuti. Perché la cultura, a tratti e a torto sottovalutata, ha il potere di rigenerare il nostro tempo e renderlo contemporaneo…
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È subito dopo una curva che la vedo per la prima volta. Appoggiata dal fato su una montagna di tufo, sembra un regalo della terra, arrivato una mattina di sole e vento dopo una notte di tempesta. Le finestre delle case sono occhi spalancati sul mondo, i tetti cappelli che la proteggono. I suoi dieci affacci, braccia pronte ad accogliere chi è capace di trattarla con gentilezza. Un treno per Roma e poco meno di un’ora di auto mi hanno portata a Calcata vecchia, un minuscolo borgo medievale che domina la Valle del Treja e risale ai tempi degli Etruschi e dei Falisci. Nessuna connessione a Internet all’interno delle sue mura, mi hanno detto. È davvero così: subito dopo aver superato il cartello che indica l’inizio del paese, l’ultima tacca del gestore telefonico scompare, per poi ricomparire se ritorno indietro di qualche passo. Come nelle magie riuscite meglio, questo è un segno. Ritrovare la tranquillità del “prima”, ed è proprio quello che farò abitando qui per cinque giorni. La panchina alla fermata dell’autobus sulla strada provinciale è l’unico contatto col resto del mondo, una volta al giorno…
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La torre Ghirlandina è come una matita il primo giorno di scuola, la sua punta perfettamente temperata svetta verso il cielo colorandolo di rosa. È così che Modena mi accoglie, e in un attimo i ricordi vanno alla me bambina nella campagna emiliana poco fuori città: quando il vento era di quelli giusti, mia nonna si portava l’indice alla bocca, invitandomi al silenzio. “Senti come gira la Rossa”, mi diceva, riferendosi alla Ferrari che correva in pista a Maranello, a pochi chilometri da noi. Il rombo del motore lo portava davvero il vento, come il fruscìo delle foglie. Nella dispensa della sua cucina, poi, non mancava mai una bottiglietta di aceto, era quello buono del contadino Geppino che viveva sulla sponda di un fiume con i suoi cani. Aveva una piccola botte dalla quale prendeva questa delizia nera che mi riempiva la bocca di sapori e il naso di odori, impossibili da replicare.
The land of fast cars and slow food, dicono, e bastano questi due ricordi fugaci ma vivi più che mai per averne la conferma. D’altronde, si narra che Enzo Ferrari si rifiutasse di sedere al tavolo del suo ristorante preferito se mancava il balsamico…
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È quando il giorno lascia spazio alla sera che si accendono le luci. Disposte in file ordinate e ricordo di un inverno ormai lontano, corrono da una parte all’altra del Naviglio Grande, ci si specchiano: le osservo dall’alto del ponte dello Scodellino - pare che un tempo i marinai si fermassero qui per una scodella di minestra -, il loro riflesso le trasforma in lucciole che si perdono in un campo d’acqua. Ne vedi l’inizio, mai la fine.
Una ragazza giapponese scatta alcune foto, le guarda soddisfatta sul cellulare. Ha un caschetto nero corvino, la pelle di porcellana: sembra uscita da un romanzo di Murakami. I camerieri dei locali preparano i tavoli per la cena: portano quasi tutti un grembiule nero e lungo, come la loro barba. Sono pronti ad accogliere i ragazzi che popoleranno la sera: questa è una delle loro mete preferite in città, per un aperitivo, una cena, due passi con una birra in mano e quattro chiacchiere. Inglese, spagnolo, tedesco, sono solo alcune delle lingue parlate che mi arrivano all’orecchio, mentre passeggio curiosando fra le botteghe degli artisti. Potrebbe essere Parigi, Montmartre, invece siamo a Milano…
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Oltre il tappeto di nuvole, le gocce di pioggia sono coriandoli argentati che scivolano lenti lungo il finestrino dell’aereo. Le case, puntini bianchi e marroni disposti in file ordinate che spuntano a macchie da un verde che abbaglia. Sono volata in Galles per vivere la magia della cittadina di Hay-on-Wye, poco meno di duemila abitanti, tre ore di auto da Londra. Ventisei librerie. Un festival letterario di respiro internazionale organizzato due volte all’anno.
La storia narra di Richard Booth, classe 1938 e una laurea a Oxford, che dopo aver terminato gli studi ritorna a casa e decide di aprire un negozio di libri usati in una vecchia sede dei pompieri: è il 1962, e nessuno avrebbe mai scommesso mezza sterlina sul successo di una attività del genere in un posto sperduto nella campagna al confine con l’Inghilterra. Ma lui non si arrende: è un sognatore e visionario, viaggia alla ricerca di libri che possano arricchire il paese e nel 1977 lo proclama Principato autonomo, auto dichiarandosi re. Una trovata geniale: alcuni concittadini lo emulano, aprono nuove librerie e Hay-on-Wye rinasce Città dei Libri…
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