testo Francesca Rabitti
fotografie Alessandro Barteletti
pubblicato su National Geographic Traveler - Primavera 2019 (scarica PDF)
È quando il giorno lascia spazio alla sera che si accendono le luci. Disposte in file ordinate e ricordo di un inverno ormai lontano, corrono da una parte all’altra del Naviglio Grande, ci si specchiano: le osservo dall’alto del ponte dello Scodellino - pare che un tempo i marinai si fermassero qui per una scodella di minestra -, il loro riflesso le trasforma in lucciole che si perdono in un campo d’acqua. Ne vedi l’inizio, mai la fine. Una ragazza giapponese scatta alcune foto, le guarda soddisfatta sul cellulare. Ha un caschetto nero corvino, la pelle di porcellana: sembra uscita da un romanzo di Murakami. I camerieri dei locali preparano i tavoli per la cena: portano quasi tutti un grembiule nero e lungo, come la loro barba. Sono pronti ad accogliere i ragazzi che popoleranno la sera: questa è una delle loro mete preferite in città, per un aperitivo, una cena, due passi con una birra in mano e quattro chiacchiere. Inglese, spagnolo, tedesco, sono solo alcune delle lingue parlate che mi arrivano all’orecchio, mentre passeggio curiosando fra le botteghe degli artisti. Potrebbe essere Parigi, Montmartre, invece siamo a Milano.
“Andiamo sui Navigli”, si dice oggi parlando del Grande e del Pavese. Alle mie spalle la Darsena, punto in cui arrivano i due canali: fino alla fine degli anni sessanta qui approdavano le barche cariche di merci destinate alla città. Il quartiere era popolare e portuale, e divenne sede prediletta degli artisti negli anni settanta: con i loro atelier animarono le vie attirando appassionati d’arte da tutto il mondo. Tanto è cambiato negli ultimi cinquant’anni, sotto lo sguardo attento di questa Grande Madre che accoglie benevola e silenziosa la vita che le scorre accanto: è l’acqua del Naviglio Grande, vero punto di riferimento della zona.
Mi chiedo quale sia il viaggio che percorre ogni giorno per arrivare fino a qui, nel cuore della città. Voglio vedere con i suoi occhi i personaggi che incontra, i paesaggi che le sono accanto. Scoprire la tradizione che resiste.
La mia avventura inizia incontrando Giovanni Nizzola, presidente dell’Associazione del Naviglio Grande fondata nel 1982 la cui missione è preservare l’identità del quartiere: fra i suoi associati ci sono i locali della zona e le botteghe storiche. Nizzola è anche titolare de “La Nazionale Manifatture” dal 1985: il negozio però nasce nel lontano 1928 grazie a due ingegneri che abbandonano la carriera militare dedicandosi alla realizzazione di bandiere. Dalla scelta dei tessuti all’opera delle ricamatrici, si lavora ancora come un tempo.
Al civico 66 dell’Alzaia Naviglio Grande c’è Palazzo Galloni, storico edificio del 600 che conserva il fascino di quell’epoca. Varcare il suo portone è come fare un salto indietro nel tempo. Ad accogliermi ci sono Gino Gini e Fernanda Fedi dell’Archivio Libri d’Artista. Le parole di Fernanda sfrigolano leggere mentre mi racconta quanto l’acqua sia fonte di ispirazione per loro, che sono qui dal 1968: non riuscirebbero a creare senza di lei, la loro musa.
Fernanda si occupa di arte concreta, astratta e concettuale, lavorando sulle scritture e studiando gli alfabeti antichi. Il mondo di Gino invece è la poesia visiva, il connubio di immagini e parole. Assieme hanno curato più di 45 mostre e il loro atelier accoglie più di mille lavori di artisti internazionali. “Mi piacerebbe andare via per qualche giorno ma Gino è tremendo, lavorerebbe sempre”, mi racconta mentre lui mordicchia un Toscanello appeso all’angolo della bocca. Sorride, senza controbattere: sa che ha ragione. “Le nostre opere sono intimiste, chi le acquista le tiene per le proprie collezioni private, alcune però trovano spazio nei musei. Grazie al mercato dell’antiquariato che il quartiere ospita ogni ultima domenica del mese, arrivano anche i turisti. Entrano nel nostro mondo in punta di piedi, sbirciano curiosi: è bello far conoscere la nostra arte ai non addetti ai lavori”.
Accanto a loro mi aspetta l’artista Gigi Pedroli, titolare del Centro dell’Incisione: lo fonda nel 1975 ed è il primo a Milano. Arte e incisione, matrimonio vincente che ancora oggi riscuote molto successo anche fra i giovani. Dalla mano sapiente di Gigi nascono storie in bianco e nero che prendono forma con il lavoro del torchio. “Il torchio mi era costato una fortuna, d’altronde volevo fosse buono e durasse nel tempo”. È ancora qui, fedele compagno di lavoro di Pedroli e del nipote Alessandro, che ha deciso di continuare la tradizione di famiglia. Ogni giorno arriva da Como per creare assieme al nonno: li vedi al lavoro e hai la certezza che nulla sia perduto finché ci sono ragazzi così.
Il Naviglio è culla di artisti e sognatori, e fonte di vita: l’acqua mi guida indietro nel tempo ancora una volta. Sono gli anni sessanta quando Francesco arriva alla Cascina Femegro di Zibido San Giacomo, all’interno del Parco Agricolo Sud Milano. È fra queste mura del quattrocento che la nipote Francesca mi spiega come ancora oggi l’azienda sia a conduzione famigliare. Qui, più del 90% del suo fabbisogno alimentare viene ottenuto dal Naviglio Grande, esattamente come accadeva secoli fa, rendendo le aziende agricole multifunzionali. La lavorazione del latte è la loro attività principale e vantano un caseificio aziendale, perla rara nel settore. Le vacche in lattazione sono 150: il sistema di mungitura robotizzato garantisce un maggiore benessere degli animali e, di conseguenza, più produzione.
L’acqua del Grande abbraccia la terra della cascina portando riso e soia oltre al mais, di cui si nutrono le mucche. È quasi commovente pensare che ancora oggi esista un piccolo paradiso così: sfama i propri animali servendosi dell’acqua, un bene prezioso troppo spesso dato per scontato. Osservo la cascina da un campo: col suo mulino al lavoro, potremmo davvero essere ancora nel quattrocento.
La storia di Anna Maria e Giacomo Sparasci de Il Guardiano delle Acque mi porta sul Naviglio Pavese, a due passi dal Grande. Voglio conoscere questi due incredibili scultori e designer che da trent’anni vivono in una casa-bottega unica: è il casello idrico nella chiusa di Moirago, risale al 1915 ed è stato ristrutturato mantenendone la tipicità: i suoi muri sono costruiti coi sassi del Naviglio. Sul tavolo della cucina c’è un CD di Enzo Jannacci, “Milano”. Alcuni mandarini in una cesta. Se lavi i piatti davanti alla finestra ti pare quasi di essere sul Pavese.
Anche qui, l’acqua è protagonista del loro lavoro: amano creare nel laboratorio che è una serra affacciata sul Naviglio. “È bello sapere che i passanti possono vederci. Lavoriamo il Corten, un tipo di acciaio dall’aspetto inconfondibile grazie alla sua patina di ossido. Questa casa ci ha accolti, ci piace pensare di esserci aggiunti alla sua storia”. Ogni loro opera è una fiaba, ammirarle significa vedere un po’ del loro cuore. Li osservo mentre si mettono in posa per una foto assieme a una loro creazione. Sono in piedi sulla chiusa, la cascata ha il fragore di una tempesta. Il guardiano non c’è più da cinquant’anni ormai, ma la tradizione dei Navigli rivive grazie a Giacomo e Anna Maria, guardiani di un tempo che scorre ma ritorna, proprio come l’acqua.
Cascina Galizia nel Parco del Ticino mi guida verso la fine della mia avventura. È stato luogo di sosta delle imbarcazioni cariche di marmo che viaggiavano verso Milano, e possedimento agricolo dei monaci domenicani. Il suo edificio più antico nasconde, nel piano interrato, un vero tesoro: un fonte battesimale per immersione. Ancora oggi l’acqua del Naviglio Grande lo sommerge, faccio capolino dagli scalini e immagino i bambini che qui hanno iniziato una nuova vita.
Il Naviglio, con i suoi racconti e i suoi abitanti che lo amano e rispettano, mi conduce a Tornavento, provincia di Varese. Punto di arrivo del mio viaggio, e punto esatto in cui il canale nasce dal Ticino. Per conoscere davvero qualcosa si deve partire: guardarla con occhi diversi, più distanti e forse perfino più saggi. Me ne sono andata dal cuore pulsante di questo meraviglioso canale per scoprire che nasconde anche la campagna coi suoi ritmi lenti, e perfino il silenzio.
È proprio dove il fiume gli dà la vita che vedo due uomini con gli stivali di gomma: stanno pescando, immersi fin sopra le ginocchia. I rumori sono un lontano ricordo. Arriva il silenzio, così forte che lo sento entrare nelle orecchie: mentre il sole tramonta e l’acqua è argento, mi culla verso la notte. Mi porta via con sé.
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