Hay-on-Wye, il paese salvato dai libri

testo Francesca Rabitti
fotografie Alessandro Barteletti
pubblicato su National Geographic Traveler - Inverno 2018/2019 (scarica PDF)

Oltre il tappeto di nuvole, le gocce di pioggia sono coriandoli argentati che scivolano lenti lungo il finestrino dell’aereo. Le case, puntini bianchi e marroni disposti in file ordinate che spuntano a macchie da un verde che abbaglia. Sono volata in Galles per vivere la magia della cittadina di Hay-on-Wye, poco meno di duemila abitanti, tre ore di auto da Londra. Ventisei librerie. Un festival letterario di respiro internazionale organizzato due volte all’anno.

La storia narra di Richard Booth, classe 1938 e una laurea a Oxford, che dopo aver terminato gli studi ritorna a casa e decide di aprire un negozio di libri usati in una vecchia sede dei pompieri: è il 1962, e nessuno avrebbe mai scommesso mezza sterlina sul successo di una attività del genere in un posto sperduto nella campagna al confine con l’Inghilterra. Ma lui non si arrende: è un sognatore e visionario, viaggia alla ricerca di libri che possano arricchire il paese e nel 1977 lo proclama Principato autonomo, auto dichiarandosi re. Una trovata geniale: alcuni concittadini lo emulano, aprono nuove librerie e Hay-on-Wye rinasce Città dei Libri.

È il navigatore a guidarmi verso di lei. In un dedalo di stradine immerse nel verde, l’asfalto è una lingua che brilla e la pioggia è ormai lontana. Gli scoiattoli che sbucano a ogni curva fermandosi in mezzo alla carreggiata per mangiare nocciole mi fanno capire che è ora di rallentare e lasciare il caos della città alle spalle dando al respiro un ritmo diverso. Arrivo a destinazione e comincio a esplorare le viuzze di quello che pur sembrando un luogo fermo a trent’anni fa, ha tutto. Dal take away cinese al ristorantino vegano, passando per i negozietti di antiquariato e le gallerie d’arte, fino all’ufficio postale. E poi, le librerie.

È con il racconto di Derek, fondatore e proprietario della “Addyman Books”, che inizio a scoprire il segreto di questo paese. Divieto di parcheggio. Le auto verranno demolite e trasformate in segnalibri, recitano i cartelli proprio davanti all’ingresso. Lui mi accoglie seduto dietro al bancone, occhiali sul naso e sorriso simpatico, libri usati e nuovi (pochissimi) ovunque. Ha iniziato a lavorare per Richard Booth negli anni Settanta, e nel 1987 ha deciso di mettersi in proprio assieme alla moglie. “Quando aprimmo avevo solo una stanza, e mi dicevo accidenti, non riuscirò mai a vivere di questo. Ma non mi sono fermato, e oggi le stanze sono dieci”. I suoi spazi sono una continua sorpresa, una rampa di scale ti porta verso un locale e poi un altro e un altro ancora. Mi chiedo da dove arrivino tutti questi libri usati e la risposta è molto semplice: da biblioteche, associazioni, case. Sono le persone a portarli, perché un libro deve essere per sempre, mai buttato né dimenticato: è un capolavoro, e merita più di una vita.

Attraverso la strada e mi aspettano “Murder and Mayhem” (Omicidio e Caos, l’altra libreria di Derek) assieme a Paula. “Capita che i clienti siano alla ricerca di consigli ma la vuoi sapere una cosa? Sei tu che devi trovare la storia per te. Così li lascio liberi di curiosare, e alla fine quella giusta arriva sempre”. L’autrice più amata? Agatha Christie. Non passa giorno in cui una sua opera non sia venduta: i gialli sono il genere più apprezzato nella zona.

Melanie è di Manchester, è venuta qui in vacanza vent’anni fa per poi non andarsene più dopo aver conosciuto Chris, suo marito. Assieme hanno “The Poetry Bookshop”, dedicato interamente ai libri di poesia. Fino a poco tempo fa erano soprattutto le persone di mezza età i clienti abituali, ma ora arrivano anche tanti giovani.

Ciò che colpisce qui a Hay è la incredibile varietà di libri usati, occupano almeno il 90% del mercato. Ce ne sono per ogni gusto, dalla letteratura alle scienze, passando per le favole e i manuali. Ogni libreria è attrezzata anche con un negozio online, che spedisce ovunque.

Il “Richard Booth’s Bookshop” è irresistibile non solo perché porta il nome del suo illustre fondatore, ma anche perché lì dentro puoi dimenticarti del resto del mondo. Sembra di essere in una biblioteca e una settimana intera non basterebbe per dare un’occhiata a ciascun libro. Patricia ha un maglioncino rosa e una riservatezza garbata: dopo 42 anni di lavoro è ancora lì, instancabile, anche se nel 2008 Booth ha venduto l’attività agli americani. “Richard aveva un sogno: riempire i negozi di libri, voleva fossero dappertutto, per far arrivare persone da ogni angolo del pianeta. Ha funzionato: l’amore per il bello ha vinto. E non c’è concorrenza fra le librerie, perché tutti noi abbiamo lo stesso obiettivo: far vivere trame e personaggi”.

Per chi pensa che gestire librerie così non sia un affare per giovani, ci sono Joshua ed Ellen, poco più di trent’anni, occhi azzurri e il sorriso di chi sta facendo ciò che davvero vuole. Sono ritornati a casa dopo quattro anni a Melbourne, pronti per inaugurare la loro “Green Ink Booksellers – intellectual recycling”. Da anni nel settore, non sono affatto degli sprovveduti mentre mi mostrano con orgoglio gli scaffali nuovi di zecca realizzati con l’aiuto di un amico falegname, pronti ad accogliere circa diecimila volumi usati.

Hay-on-Wye è davvero rinata e continua a farlo anno dopo anno grazie alla letteratura, e all’idea geniale di quell’uomo, Richard Booth, che ha appena compiuto ottant’anni e vive a poco più di un miglio dal centro. Devo incontrarlo, perché non si può abitare un Regno seppur per pochi giorni senza aver conosciuto il suo monarca. Ho in tasca un numero di telefono, un indirizzo e un appuntamento, mercoledì a mezzogiorno, che mi verrà confermato un’ora prima. Yes, Richard can see you.

Lui mi aspetta nel suo studio, dà le spalle all’entrata e lo trovo seduto, fissa silenzioso il camino acceso. Una televisione in sottofondo trasmette le notizie del giorno. I suoi occhi, il suo sguardo, sono gli stessi del 1977 in quel servizio della BBC che ho visto non so quante volte prima di arrivare qui. Sono passati tanti anni ma non ha perso la luce e il brio che ha solo chi non si stanca mai. “Durante i miei viaggi ho imparato che tutti credono nei libri, indipendentemente dalla loro religione. Sono cresciuto in una casa piena di storie, ne ero circondato perché mio padre amava leggere. Per me è stato naturale considerarle la mia vita”. Arriva Hope, sua moglie. È una donna minuta e delicata, si siede vicino a noi. Lo chiama darling. “Sai come mi ha conquistato? Con i libri, è chiaro. Nella sua casa ce ne erano centinaia, e io non ho potuto fare a meno di innamorarmi di lei”.

Mi guardo intorno: la stanza è una libreria stracolma. Volumi ovunque, file colorate e ordinate a seconda del genere. Una targhetta reca la scritta “Friends”, spicca un libro di Bill Clinton che ha definito il paese La Woodstock della mente dopo averlo visitato. Gli chiedo quale sia il segreto del successo di Hay-on-Wye. “Semplice, tutti possono permettersi di acquistare un libro usato: è questa la chiave vincente della mia missione. In fondo, la cultura non è un bene di lusso”.

Prima di lasciare il Regno dei Libri raggiungo Padre Richard, il parroco, nella chiesa di St.Mary. Lo trovo intento a suonare l’organo mentre Daisy e Moby, i suoi cani, scorrazzano liberi fra i banchi. Mi confessa che tutti i fedeli partecipano alla messa con i loro amici a quattrozampe. Decido di accompagnarlo per una passeggiata lungo il fiume Wye. Ha il collare dei cani attorno al collo mentre mi racconta di un viaggio da Londra a Venezia a bordo dell’Orient Express, un regalo che si è concesso poco tempo fa. “C’è una pellicola che separa noi umani dall’eternità. È da diciassette anni che vivo a Hay-on-Wye, e sono certo qui sia molto più sottile che altrove”. Dei bambini a bordo di una canoa remano divertiti, le risate si perdono nell’aria. La luce del tardo pomeriggio è una lama obliqua che taglia gli alberi, e il sentiero è foglie autunnali che scricchiolano sotto ai nostri piedi.

Un aereo mi aspetta per tornare, mentre il buio è arrivato assieme alla foschia. Penso a quel ragazzo degli anni Sessanta che ha creduto nel potere dei racconti: hanno salvato un paese, la eco della loro bellezza nel tempo ha superato paesi e oceani, inarrestabile e invincibile. Ha ottant’anni ma i suoi occhi pulsano ancora storie. È un vero Re.

Qui, la pellicola che ci separa dall’eternità è davvero più sottile.

Arrivederci, Maestà.


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